PADRONE E PROLETARIE
LA RIVOLUZIONE FRANCESE suscitò
speranze di liberazione tra le donne del popolo e gli schiavi delle colonie,
e quando il 5 ottobre 1789 un immenso corteo si riversò da Parigi a Versailles
per porre le sue richieste all'Assem blea Nazionale, una delegazione di donne
propose ai Costituenti di far propria una Dichiarazione dei Diritti della Donna;
ma come risposta ebbero solo una citazione di Rousseau, secondo la quale non
solo l'educazione delle donne, ma la loro stessa esistenza, ha valore soltanto
se l'uomo ne trae vantaggi e benefici. Quelli che si ostinavano ad insistere
su un tema cosí sgradito, come Condorcet, Olympe de Gouges o Babeuf,
finirono processati e ammazzati. Sorte anche peggiore ebbero gli schiavi negri
e mulatti accorsi dalle Antille a Parigi al suono delle meravigliose parole,
Liberté Egalité Fraternité. Furono riconsegnati ai piantatori
loro padroni, che li assassinarono sulla pubblica piazza con l'orrendo supplizio
della ruota. Come si potevano conciliare i principi della libertà e dell'eguaglianza
con quelli della proprietà sacra e inviolabile? Questa contraddizione
del 1789 è alla base di tutte le lotte civili ancora oggi.
Il codice napoleonico del 1804, abolito dalla Restaurazione e ripreso poi da
tutti i movimenti risorgimentali, era piú arretrato, per ciò che
riguarda la donna e la famiglia, dei codici dell'antica Roma.
Vi si ribadivano i principi della legge canonica, che la moglie deve obbedienza
al marito, che lo deve seguire e fargli amministrare i soldi, che l'adulterio
della donna è reato e quello dell'uomo no, che la donna non ha capacità
legale, che la patria potestas sui figli è solo dell'uomo ecc. Tutte
cose che conosciamo bene, dato che il codice napoleonico è quello cui
si è ispirato il nostro, e i correttivi sono recentissimi. Solo riguardo
al divorzio Napoleone fu di larghe vedute, in quanto stava cercando di liberarsi
legalmente di Giuseppina per sposare la figlia dell'imperatore d'Austria.
L'affermarsi del sistema capitalistico segna un regresso della posizione
della donna, sia nella classe dominante che nel popolo. Le mogli dei capitani
d'industria, dei finanzieri, dei grandi controllori del mercato e della moneta
non hanno piú nessun rapporto di collaborazione con l'attività
dei loro mariti; anzi ne ignorano tutto e sono respinte in un ruolo di mantenute
di lusso. Mentre le mercantesse e le direttrici di manifatture sono figure frequenti
nei secoli precedenti, sia a titolo personale che come collaboratrici dei mariti,
nell'800 la figura della donna d'affari è estremamente rara, per non
dire inesistente. La maggioranza delle moglie nella prospera borghesia capitalista,
si adagia in una forma estrema di parassitismo sociale. "Non hanno nulla
da fare", scrive Mary Astell, "se non glorificare il Signore e chiacchierare
con le vicine". In realtà facevano anche altre cose: c'erano le
peregrinazioni di negozio in negozio per gli acquisti, le sedute con le sarte
e le parrucchiere, i pranzi e i ricevimenti, gli adulteri con tutto il loro
complesso rituale vittoriano, le malattie misteriose e le sottili sofferenze
spirituali che fornivano inesauribili argomenti di conversazione. La numerosa
servitú le esentava dalle cure della casa e dei figli, che passavano
dalle balie alle istitutrici, ai collegi per fanciulle bene o agli istituti
per ragazzi destinati a comandare. I padroni delle ferriere dovevano darsi da
fare per far prosperare le loro aziende in regime di concorrenza, e spesso lavoravano
duro: chi traeva i maggiori vantaggi dal profitto erano le loro signore, che
spendevano senza dover far nulla, servendosi del marito come fonte di denaro
e di comodità, non tentando nemmeno di capire come si costruiva la ricchezza
che usavano. Sorge il mito della "casa di bambola", della donnaoggetto
che concentra le sue scarseggianti facoltà sul come rendersi graziosa
e piacevole, per giustificare in qualche modo la sua esistenza.
Sarebbe interessante analizzare le cause di questa regressione civile e culturale,
legata ai nuovi modi di produzione, delle donne della classe dominante. Fu la
conseguenza di un consenso, o di una sconfitta? Dai risultati, si direbbe che
le signore erano ben felici di fare le signore e puntellavano il sistema e i
valori che aveva indotto con un odio contro le classi lavoratrici e un accanimento
a difendere i propri privilegi che rasentava la ferocia.
Per le donne delle classi sfruttate, il sistema capitalistico crea nuove forme
durissime di schiavitú, costringendole a lavorare nelle fabbriche in
condizioni disumane. L'assunzione delle donne nella produzione industriale non
fu dovuta né a un'esigenza della società, perché vi erano
sempre larghe riserve di disoccupati, né a una richiesta delle donne
stesse, per le quali, già oberate dal lavoro domestico, andare in fabbrica
costituiva un aggravamento spesso intollerabile di fatica fisica; fu dovuta
solo al freddo calcolo dei signori del profitto, che volevano manodopera a metà
prezzo, e la ottenevano col ricatto della fame. Donne e bambini si affollarono
nei capannoni puzzolenti degli stabilimenti tessili, in condizioni molto simili
a quelli delle cave e dei pistrini dell'antica Roma; forse un po' peggio, perché
non risulta 30
dai documenti che i romani avessero razionalizzato lo sfruttamento produttivo
dei bambini di cinque anni. Fino al 1842 donne e bambini lavoravano anche nelle
miniere, e l'orario di lavoro fu ridotto a dieci ore soltanto nel 1847. E il
fatto che in parlamento si votasse una legge, non voleva dire che il padronato
l'applicasse realmente.
Nel mondo agricolo le trasformazioni portate dal capitalismo avvantaggiano nei
paesi industrializzati la grande e media proprietà, ma peggiorano le
condizioni dei lavoratori, che diventano salariati; le donne non possono piú
andare a far legna nei boschi, né far pascolare gratis il maiale o le
oche nei prati ora recintati e privatizzati, né avere un orto in cui
coltivare i fagioli e l'insalata; vengono confinate tra le quattro mura della
casa, ad arrovellarsi sul come far bastare la paga insufficiente per nutrire
la famiglia e non morire di freddo. Tutto ciò che è necessario
bisogna acquistarlo col denaro, e per far denaro, per quanto poco, non c'è
che andare in fabbrica. Nei paesi poco industrializzati, come l'Italia, la stentata
crescita della borghesia, quasi tutta compradora e burocratica, aggiunge nuovi
pesi e nuovi vincoli sulle spalle dell'angariato contadino, senza eliminare
i vecchi. Le reazioni del brigantaggio, e la spietata repressione (furono ammazzati
piú contadini dallo Stato italiano, che non patrioti in tutte le guerre
contro l'Austria e i Borboni) erano il sintomo di una situazione intollerabile.
Il femminismo si sviluppò nei paesi dove il codice napoleonico non era
stato adottato e dove l'industrializzazione era molto avanzata, come l'Inghilterra.
La classe dirigente imprenditoriale, che proletarizzava una gran massa di donne
avviandole nelle fabbriche, doveva controbilanciare questo peggioramento della
loro condizione con gli accresciuti privilegi alle donne della borghesia; cosí
come nella politica coloniale privilegiava una minoranza del popolo oppresso,
e se ne assicurava il consenso, per poter meglio opprimere la maggioranza.
Le associazioni femminili, che dall'inizio dell'800 sorgono a ritmo accelerato
in America e in Inghilterra, riuniscono esigui gruppi di donne' dell'alta e
media borghesia con privilegi culturali (la prima donna che prese
la laurea fu Elizabeth Blackwell, negli Stati Uniti, nel 1849), che lottano
per la conquista della parità con l'uomo all'interno della loro classe,
e all'uomo danno un valido aiuto per la stabilizzazione dell'assetto capitalistico.
Il loro rapporto con le classi subalterne è paternalistico, puritano
e conservatore. Le associazioni per l'abolizione della schiavitú non
combattono il razzismo né l'emarginazione degli ex-schiavi dalla produzione
industriale; quelle, numerosissime, con scopi pedagogico-educativi propongono
per le lavoratrici scuole di apprendistato organizzate con ferree discipline
repressive e sfruttamento di lavoro non retribuito; molte si occupano del recupero
delle classi basse alla virtú, con leghe della temperanza e della moralità
delle fanciulle; altre tentano d'impadronirsi dei deboli e incipienti sindacati
di lavoratrici, distogliendoli dalle generali lotte proletarie per usarli nel
movimento femminista: "Le donne delle classi superiori", scrive la
sociologa Gladys Meyerand a proposito della National Womens Trade Union League
(Lega americana dei sindacati femminili), "entrano nei sindacati per dirigerli
ai loro fini, che sono puramente educazionali e filantropici; assicurano alcuni
benefici alle operaie per impedire qualsiasi mutamento essenziale del loro status".
In Italia, paese ancora scarsamente industrializzato, il femminismo era praticamente
inesistente, e giunse con molto ritardo anche nei salotti di Milano e di Torino.
La questione femminile veniva posta invece con grande vigore dai movimenti egualitari,
derivati da Babeuf attraverso Buonarroti, che si contrapponevano al filone carbonaro
e massonico, 'riservato ai soli uomini. Buonarroti indicava come obiettivo la
"massima uguaglianza" in "roba, potere e lumi" di tutti
i cittadini, uomini e donne a pari titolo. Mazzini, che in contrasto con lui
dichiarava che "non vogliamo sovversioni de' diritti legittimamente acquistati,
non leggi agrarie, non usurpazioni di proprietà" era di conseguenza,
per ciò che riguarda la donna e la famiglia, un conservatore: infatti
esaltava dio e le mamme. Garibaldi istintivamente e umanamente legato alle masse,
suscitava una coscienza di lotta anche tra le donne, come dimostrarono le popolane
di Brescia, di Milano, della Repubblica romana, le braccianti siciliane e calabresi
del 1860, quando in un primo tempo speravano che Garibaldi volesse dire riforma
agraria. La borghesia prese il sopravvento, e il Meridione fu consegnato agli
occupanti piemontesi. Tuttavia Garibaldi fu il solo, tra i capi storici del
Risorgimento, a mostrare sensibilità per la questione femminile, e i
suoi curiosi e prolissi romanzi, come Clelia, nei quali sfogava ciò che
in pubblico non poteva dire, sono un attacco diretto alla ideologia che schiavizzava
la donna; non per nulla aderí alla Prima Internazionale e alla Comune
di Parigi, primo luminoso esempio di democrazia moderna e di parità tra
uomo e donna.
Mentre l'editto d'Alcamo di Garibaldi suscitava tra i braccianti meridionali
moti e speranze, e s'innescavano i primi scioperi nelle industrie dell'ex-Regno
delle Due Sicilie, cominciano nel biellese le agitazioni degli operai e delle
operaie delle industrie tessili, che esploderanno nello sciopero generale del
1863. Le manifestazioni di protesta contro la tassa sul macinato, con le donne
in prima linea, dilagano un po' in tutta Italia, e vengono represse con ferocia:
257 morti, 1099 feriti, 3788 arrestati.
Fin dal loro inizio le lotte proletarie in Italia presentano forti elementi
di autonomia, e non sono puro riflesso dello sviluppo capitalistico, né
seguono passivamente le leggi del mercato e la disciplina politica; ma si costruiscono
sull'autocoscienza delle condizioni di lavoro e dei bisogni, coinvolgendo piú
che altrove le donne e aggregando contadini e operai (che sono ex-contadini
o ancora in parte contadini). La volontà, sia pure 32
embrionale, d'indipendenza dalle leggi e dalle vicende del capitale, è
l'avvio alla formazione di una classe lavoratrice separata e cosciente della
sua separazione. Da una prima fase luddista, di resistenza all'industrializzazione
e alla meccanizzazione, in quanto gestite dal capitalismo sulla base del profitto
e di piú duro sfruttamento, si sviluppa l'aspirazione a gestire in proprio
i progressi meccanici e industriali, che consentono favolosi aumenti di produzione.
Negli ultimi tre decenni dell'800 comunardi e socialisti internazionalisti,
che hanno scelto nella Prima Internazionale la linea anarchica di Bakunin, suscitano
in Italia sporadici tentativi insurrezionali e una serie di attentati contro
esponenti del potere statale; ma il distacco dalla pratica sociale di massa
li destina al fallimento. Tuttavia la loro coerenza morale e la loro intransigenza
ideologica contro le colonne portanti dello stato capitalistico, grande proprietà
e monarchia, esercito e Chiesa, stimolano il maturare della coscienza di classe
e rimarranno presenti anche nelle prime organizzazioni ispirate al marxismo.
1 socialisti internazionalisti hanno delle posizioni molto nette riguardo alla
liberazione della donna, derivate direttamente dal babeuvismo. L'attacco frontale
al patriarcato, padre-padronepadreterno, viene portato avanti con una chiarezza
che il susseguente riformismo, da Turati a Berlinguer, non ha saputo o voluto
fare proprio: mentre per le masse femminili era il punto focale della presa
di coscienza.
Le famiglie socialiste che rifiutavano il matrimonio sacramentale in chiesa,
o anche qualsiasi tipo di matrimonio, che non battezzavano i figli e facevano
i funerali con le bandiere rosse e i canti rivoluzionari al posto delle giaculatorie
del prete, erano famiglie di tipo nuovo, profondamente mutate nei rapporti interni
tra uomo e donna, tra genitori e figli. E le donne erano in prima linea nelle
lotte per la loro classe. Dagli scioperi delle filatrici di canapa a domicilio
o di salariate tessili del comasco e del biellese nel 1876, a quelli delle braccianti
nel mantovano-ferrarese e in Romagna e delle risaiole in tutte le regioni del
Nord nel 1886; dai tumulti per la tassa sul macinato a Roma, Ancona, nell'alto
milanese nel 1888, alla costituzione della Società delle Sorelle del
Lavoro a Varese nel 1889, alle manifestazioni contro la guerra d'Africa a Bologna
e a Roma, alle donne di Misterbianco di Catania che incendiano il municipio
nel 1891; dai fasci siciliani (di cui uno tutto di donne a Piana dei Greci)
alla casalinghe che nel '96 fermano i treni militari in Lombardia e liberano
gli arrestati a Milocca, ai moti per il pane con barricate e armi di fortuna
a Bari, Foggia, Napoli, Chieti, Rimini, Ancona, Macerata, Firenze, le lavoratrici
italiane maturano nelle lotte i temi della loro liberazione e della liberazione
di tutti gli sfruttati.
L'epoca giolittiana vede una massiccia ripresa dell'emigrazione, che influisce
profondamente sulla condizione della donna. Tra il 1901 e il 1914 partirono
quasi quattro milioni d'italiani (la popolazione era allora circa la metà
di quella d'adesso), soprattutto dal Meridione ma anche dall'Italia centrale
e dalle zone depresse del Nord. L'altra soluzione che il capitalismo offre ai
disoccupati è la guerra coloniale, e le donne socialiste sono all'avanguardia
delle manifestazioni contro la spedizione in Libia, che darà solo morti
e sabbia. I militari di professione non brillano nelle guerre di conquista,
ma nella guerra interna contro i lavoratori sí: gli eccidi di operai
e di contadini sono una componente normale del concetto borghese di ordine pubblico.
L'elenco delle donne uccise negli scontri o chiuse in carcere non è stato
ancora fatto.
Per contro, le donne della classe dominante (e di quella parte della piccola
borghesia, enormemente dilatata con l'assetto capitalistico, che tende ad imitarle)
sono, nel complesso, tra le piú arretrate d'Europa, e i guasti portati
dal diritto canonico sono ancora piú che evidenti. È una classe
dominante particolarmente eterogenea, nella quale si sovrappongono e convivono
epoche storiche che si perdono nella notte dei tempi; c'è ancora il latifondo
assenteista con le sue milizie private, il diritto dell'uomo di ammazzare la
donna adultera e di bastonare i figli fino a renderli storpi, le decime ai preti
e le corvées feudali, famiglie di poveri che vivono nelle grotte come
nel paleolitico o in capanne di fango e paglia come nella prima età del
bronzo. Salvo che nelle regioni un tempo amministrate dall'Austria, le donne
sono per lo piú analfabete, anche quelle dei ceti privilegiati: se pure
hanno imparato a leggere e scrivere nei collegi diretti dalle suore, ricadono
in un analfabetismo di ritorno per la totale mancanza d'interessi culturali.
Le intellettuali sono numericamente pochissime, anche se sono quelle di cui
si parla di piú. L'educazione cattolica per le donne vige anche nelle
famiglie liberali, e il parassitismo accomuna le mogli dei nuovi capitalisti
e quelle dei vecchi proprietari terrieri. Le piú audaci leggono D'Annunzio
e propugnano la libertà sessuale, il che non le rende meno reazionarie
di prima, o fanno le crocerossine applaudendo freneticamente il militarismo
colonialista di Crispi. La maggior parte delle donne della piccola borghesia,
disagiata e frustrata, invece d'individuare la causa del loro disagio nella
classe dominante, vengono indirizzate a scegliere come modello le signore, e
a nutrire come massima ambizione quella di diventare come loro, di somigliare
il piú possibile alle donne dei ricchi, di assimilare i loro miti: l'unica
via, naturalmente, è di sposare un uomo ricco, o capace di fare carriera.
Il loro odio verso le avanguardie socialiste è l'odio di chi vede prendere
a martellate il suo oggetto piú caro, distruggere il sogno dorato di
pellicce e gioielli, di stuoli di cameriere e di elegantissimi cavalieri; queste
fantasie sono l'unica evasione loro concessa dalle miserie quotidiane, e le
difendono accanitamente, alimentando una precisa scelta di classe. È
in questa parte della popolazione femminile che il fascismo trova consensi e
appoggi, piú ancora che tra gli uomini. E non diversamente, in questo
dopoguerra, vi troveran34
no consensi e appoggi la monarchia e la Democrazia cristiana.
Esaminare i meccanismi del consenso di una parte notevole di donne al fascismo,
come alla Controriforma del XVII secolo, è un lavoro appena iniziato,
ma certamente necessario per capire in quale realtà ci muoviamo oggi
in Italia, e come possiamo agire per trasformarla. Sono momenti storici di massima
degradazione della donna, che si fondono nel 1929 col patto tra fascismo e Vaticano
dell' 11 febbraio; il 13 febbraio il papa, parlando all'università cattolica
di Milano, dichiara che "ci voleva un Uomo come quello che la Provvidenza
ci ha fatto incontrare, un Uomo che non avesse le preoccupazioni della scuola
liberale. . . "; il 24 marzo, con l'entusiastico appoggio delle organizzazioni
cattoliche, il "plebiscito" fascista proclama la "totale solidarietà
degl'italiani nei nuovi destini della Nazione, basata sull'ordine morale, politico,
civile e religioso dei patti del Laterano". Dio, Patria e Famiglia, senza
preoccupazioni liberali.
In realtà, quel giorno centinaia di migliaia di italiani sono in carcere
o trattenuti nelle questure e nelle caserme, e sugli altri pesa il ricatto della
violenza squadristica, della persecuzione poliziesca, del licenziamento dal
posto di lavoro; ma l'indagine sulla realtà della resistenza popolare
al fascismo si viene ancora facendo. Dell'antifascismo delle donne si conoscono
solo i dati piú clamorosi, le carcerate, le confinate, le scioperanti
delle risaie piemontesi e delle officine tessili lombarde e venete del '27,
dei cotonifici di Legnano e di Busto del '31, le casalinghe nelle manifestazioni
di disoccupati a Torino nel '30, in Puglia nel '32 ecc. Ma tutto il contesto
sotterraneo che rendeva possibili queste esplosioni, la vasta rete di solidarietà
popolare su cui si baserà la Resistenza armata, con le donne come elemento
centrale, richiede ancora uno studio documentato e complessivo.
La questione femminile, all'interno della Resistenza, progredí autonomamente,
per le situazioni di fatto che si erano create e che imponevano comportamenti
diversi; non per merito delle forze politiche che la dirigeva no. I comunisti,
ossequienti all'Unione sovietica e al Comintern, ripetevano con scarso senso
critico le parole d'ordine del III congresso della Terza Internazionale: mobilitare
le donne nella lotta contro il fascismo, ma negare che esistesse ancora una
"questione femminile", in quanto le donne sovietiche l'avevano già
risolta e bastava imitarle; il che (come sapevamo in parecchi) non corrispondeva
a verità. Lo stesso Lenin, paragonando la donna a un bicchiere al quale
l'uomo vuol bere per primo, non aveva avuto un'espressione felice; e la burocratizzazione
successiva aveva respinto la famiglia nei ruoli tradizionali. Il partito socialista
tramandava teoricamente il suo patrimonio di lotte iniziali per l'emancipazione
della donna, ispirate a Bakunin non meno che a Marx; ma il riformismo aveva
sommerso la sua forza di contestazione contro la famiglia borghese. Nel Partito
d'Azione, movimento nuovo sorto durante l'esperienza fascista, c'era un po'
di tutto, dai radicali borghesi ai socialisti rivoluzionari; e nella gran discussione
politica che si faceva al suo interno, c'era posto persino per posizioni di
estrema sinistra: si poteva porre la questione femminile con energia, senza
venire azzittite da una risposta burocratica o paternalistica dei dirigenti.
Tuttavia rimaneva sempre un tema secondario, e non si riusciva a portarlo in
primo piano.
Durante la Resistenza, una donna poteva, se era abbastanza matura e decisa ad
affermare la sua parità con l'uomo, realizzarla completamente; ma spesso,
proprio perché non riusciva a superare le sedimentazioni interio rizzate
da secoli, si adattava a un ruolo subalterno che gli uomini accettavano, anche
se non lo imponevano, per comoda consuetudine piú che per volontà
autoritaria. Mi è capitato piú volte di sentire nel vivo della
lotta, donne che si lamentavano dei comportamenti patriarcali degli uomini nei
loro confronti. "Perché non hai protestato, perché non gliel'hai
detto?" chiedevo io. "Mah. . . ", non sapevano rispondere. "Andiamo
a dirglielo", insistevo; "vedrai che capisce". Infatti era sempre
cosí. Posto di fronte a una critica politica, il compagno riconosceva
la sua incoerenza, ed era anche contento di liberarsene, almeno come prima reazione.
Ma la maggior parte delle donne, uscite di colpo dal chiuso della vita domestica
al campo aperto degli scontri generali, non potevano aver acquisito gli strumenti
ideologici per padroneggiarne tutti gli aspetti; e i partiti, che glieli avrebbero
dovuti fornire, non solo non lo facevano, ma spesso agivano in senso nettamente
contrario. Le poche conquiste fatte dalle donne nella Resistenza, sia nei confronti
della famiglia che della società, furono conquiste autonome, frutto di
condizioni e di esperienze concrete; e arricchirono il movimento popolare di
caratteri e valori umani e morali, come l'assoluto disinteresse, l'assenza di
calcoli di potere per il dopo, la semplicità antiretorica del senso di
giustizia, la generosità dei sentimenti, la modestia che fece sembrare
naturale non chiedere riconoscimenti, né cariche, né lodi, rientrando
nella vita quotidiana come se anche il tremendo sforzo della guerra fosse stato
un aspetto dei quotidiani doveri.
I primi vent'anni dopo la Liberazione non sono favorevoli ai giovani e alle
donne. La vecchia classe dirigente, industriali e proprietari terrieri, burocrati
e magistrati, dominano ancora la scena politica, e i partigiani vengono espulsi
dalle forze dell'ordine. Nelle sinistre la direzione dei partiti e dei sindacati
viene delegata ai padri della patria, gli anziani e gli adulti che hanno fatto
la Resistenza, e i giovanissimi, che per ragioni di età la Resistenza
non l'hanno fatta, vengono trattati con paternalistica condiscendenza, e non
viene loro concessa nessuna autonomia. Le madri della patria, medaglie d'oro
e d'argento, poche vive e molte alla memoria, vengono portate in palma di mano
ed esibite in tutte le cerimonie tra garofani e bandiere rosse; ma pochissime
entrano in parlamento, nessuna nelle direzio36
ni dei partiti e dei sindacati, quasi nessuna nei comitati centrali; alle partigiane
e alle staffette che partecipano alle sfilate viene messa al braccio una fascia
d'infermiera, per ricondurle a un ruolo meno disdicevole alla loro femminilità.
Dio, Patria e Famiglia è ancora il motto della Repubblica che dovrebbe
essere fondata sul lavoro e sull'antifascismo, e i dirigenti socialcomunisti
si affannano a dimostrare, senza peraltro convincere affatto i loro avversari,
che non sono dei senza-Dio, senza-Patria e senza-Famiglia.
La storia non si fa coi se, e si potrebbe discutere a lungo se lo zelo perbenistico
delle sinistre non fu eccessivo anche in quel periodo caratterizzato dal ricatto
della fame e dal gioco delle alleanze che ci legava al carro americano. Ma certo,
dal punto di vista dell'emancipazione femminile, fu un disastro. L'unica grande
conquista fu il voto, che oramai non si poteva piú negare a nessuno,
ma la mancanza di una linea politica di contestazione riguardo alla religione
e alla famiglia fece si che la maggioranza delle donne, comprese molte mogli
di compagni di sinistra, votassero a destra. Le donne e i giovani piú
politicizzati vennero bloccati in organizzazioni subalterne, senza poteri decisionali.
I movimenti di massa vennero riassorbiti e inquadrati, e ai braccianti meridionali
che occupavano le terre fu offerta la soluzione giolittiana dell'emigrazione
interna ed esterna. Gli operai non ottennero i consigli di gestione di cui si
era parlato durante la Resistenza, o non se ne poterono servire per trasformare
le relazioni aziendali. I modi e i rapporti di produzione erano cambiati ben
poco dall'unità d'Italia in poi.
Le grosse novità vennero negli Anni Sessanta, col boom consumistico da
una parte, e dall'altra con le guerre di liberazione dei popoli colonizzati,
che strappavano la maschera all'imperialismo economico-militare. Nella seconda
guerra mondiale, le potenze occidentali avevano sorvolato con un elegante volteggio
la questione coloniale: negri, algerini, pakistani erano stati mobilitati per
difendere l'indipendenza e la libertà dei popoli europei contro la furia
hitleriana; ma quando accennavano al fatto che avrebbero voluto l'indipendenza
e la libertà anche a casa loro, venivano messi al muro e fucilati. L'Italia
si era salvata dalla sindrome colonialista in quanto era ovvio che avrebbe perso
comunque tutte le colonie, frutto delle guerre fasciste; ma aveva dei grossi
problemi di colonialismo interno, date le tradizionali sperequazioni di livelli
economici e produttivi tra le varie regioni.
Il grande terremoto della Rivoluzione d'Ottobre aveva dimostrato che le masse
possono vincere contro la classe dominante, e che l'industrializzazione si può
fare al di fuori del sistema capitalistico; e il capitalismo era corso ai ripari,
isolandola per trent'anni e costringendola a gravissime involuzioni, mentre
elaborava nuovi metodi di difesa, dal fascismo al New Deal. Ora c'era la Rivoluzione
cinese, la prima vittoria rivoluzionaria non europea, di un popolo che aveva
visto scritto sulle cancellate delle concessioni europee sul suo proprio territorio:
"Vietato ai cani e ai cinesi". E oramai in tutti i continenti fiammeggiavano
i focolai di rivolta, saltavano sulla scena della storia i senzastoria, i non-esistenti
per la civiltà, i mai-calcolati nelle risse dei potenti per la spartizione
del mondo. Uomini e donne. La lotta anticoloniale stimola piú di ogni
altra la partecipazione delle masse femminili perché non pub essere riformista
(a meno che non voglia barattare il vecchio colonialismo col neo-colonialismo)
e si scontra frontalmente sia con la cultura imposta dall'occidente che con
quella tradizionale autoctona che ha portato alla schiavitú: lotta contro
l'imperialismo occidentale, ma anche contro Confucio, o il tribalismo.
La novità è che, se pure sopravvive ancora, e con considerevoli
poteri, l'eredità del passato - l'accumulazione di rapina, lo sfruttamento
e la violenza che ne deriva, il razzismo etnico e sociale, la degradazione e
la distruzione di essere umani e del territorio necessario alla loro vita -
questi fenomeni non vengono piú subiti passivamente, come bagaglio di
sofferenze imposte da una legge trascendente la nostra volontà, e alle
quali bisogna rassegnarsi. Oramai la diffusa consapevolezza che sono gli uomini
(le donne) a costruire la loro realtà, e che gli uomini (le donne) hanno
il potere di modificarla, ha messo in movimento tutte le masse del pianeta;
e anche dove sono costrette, con la violenza o con la persuasione dei mass-media,
a sopportare umiliazioni e subordinazione, non accettano piú la loro
condizione come stabile o addirittura naturale, ma si preparano a rovesciare
il rapporto di forze. Le "leggi naturali" e le "leggi divine",
inventate dal potere per bloccare i subalterni nelle loro catene, non convincono
nemmeno i ragazzini al di sotto dei dieci anni. Le rivoluzioni accese in ogni
continente negli ultimi decenni accumulano esperienze via via piú mature
sui metodi per organizzare piú razionalmente la produzione e la società,
non per decisione di pochi, ma col concorso di tutti.
E la novità piú grande è l'irruzione delle masse femminili
nelle lotte, con tutto il vigore e la rabbia di chi ha subito le piú
lunghe umiliazioni: l'esplosione contestatrice delle lavoratrici manuali, dalle
casalinghe di tutti i ceti alle contadine alle operaie, è la piú
significativa e determinante per l'abbattimento degli schemi tradizionali.
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